giovedì 1 settembre 2011

Testimonianze dal Togo

La prima volontaria dell'associazione AFRICASA é tornata in Italia dopo l'esperienza nel villaggio di Dafo. Potete leggere qui la sua testimonianza. Provate a indossare altri occhi nel leggerla, i colori si tingeranno delle sfumature dell'Emozione.....

"Yovo yovo bonsoir!" - di Elisa Farioli - Associazione AFRICASA onlus

" Tutto è partito un po’ per caso, dalla curiosità di approfondire un tasto “mi piace” clikkato su Internet da un amico…
È così che ho conosciuto l’associazione Africasa e dopo qualche telefonata, in un paio di incontri veramente utili, ho incontrato Toni, Daniele e Luca. Nel loro piccolo si sono dedicati alla creazione di Africasa e dei suoi progetti, ognuno con il proprio stile, e con alla base sicuramente una grande disponibilità di mettersi in gioco.
Questo agosto sono perciò partita per più di tre settimane per quello sconosciuto stato del Togo, nel villaggio di Danyi Dafo vicino al confine con il Ghana, dove sono stata accolta da tanti bambini che urlavano “Yovo yovo bonsoir!” (bianco bianco buonasera!), a qualsiasi (!) ora del giorno.
Con me nella casa di appoggio c’erano i volontari locali, Koffi, Komimoto, Mawupemo, Leon, Gentille, Patricia, Atsu, Alain, coordinati dal presidente Komi Zouglou dell’associazione togolese AJVSM e due ragazze italiane tramite l’associazione Oikos.
A Dafo si trova una scuola elementare con tre aule al coperto e due all’esterno, è qui che al mattino svolgevo sostegno scolastico principalmente alla classe intermedia degli alunni dagli 8 ai 10 anni con l’aiuto di Mawupemo e Helene, mentre nelle altre classi collaboravano alcune ragazze francesi tramite Ecole secours e Avid Afrique.
A partire dalle 8 del mattino si faceva un giro per il paese per richiamare i bambini che arrivano a scuola in pantaloncini, maglietta, infradito o scalzi, niente di più: né quaderni, né libri, né matite, né zaini…. I genitori spronano i propri figli ad andare a lezione anche durante il periodo delle vacanze estive (nonostante diano una mano nei lavori di casa), ciò è un fattore positivo per cercare di omogeneizzare il livello di istruzione che in una stessa classe è molto vario, e non è strettamente correlato all’età.
L’esperienza di volontariato proseguiva al pomeriggio con l’avanzamento dei lavori della biblioteca, in particolare con il getto delle fondazioni della veranda e l’intonaco sulle pareti esterne della biblioteca.
Alla sera per un motivo o per un altro: FESTA! Qualcuno trasportava sulla testa un televisore, gli altoparlanti etc. e dj Didier animava la disco, immancabili i tormentoni locali “C’est magique”, “Pétit à pétit”, e “lèbèdè”. Non appena si sentiva un po’ di musica o movimento, dopo essersi affacciato alle finestre, quasi tutto il villaggio (grandi e piccini) popolava in salone! I togolesi, sin da piccoli, sanno ballare molto bene, e cosa ancora più bella ti contagiano con il loro ritmo. Spero presto che dj Didier possa ricominciare a ballare (a breve sarà operato alla gamba, grazie ad uno dei progetti di Africasa).

Nei weekend c’è stata anche la possibilità di camminare fino alla cascata di Yikpa (resa ancora più particolare da un acquazzone tipico della stagione delle piogge) e viaggiare nel Nord del Togo passando tra distese di alberi da Kpalime fino a Kara e a Tamberna, bellissimo villaggio fortificato del 1400, appartenente al patrimonio dell’Unesco.
È stata un’esperienza molto variegata e arricchente sotto ogni aspetto, soprattutto per le persone che ho incontrato, con cui ho lavorato e con cui ho scambiato opinioni. È facile accorgersi che con un semplice gioco o canzone, con talvolta in palio non delle macchinine o delle bambole, ma delle matite e dei quaderni, i bambini si divertano comunque un mondo. Si vive anche (con “qualche” difficoltà) senza i fornelli a gas, senza l’acqua corrente, senza un bagno, senza un frigorifero, senza un supermercato, senza auto, senza internet…
I prossimi obiettivi, portati in evidenza anche da diversi responsabili locali togolesi, sono la costruzione di un dispensario medico e di un pozzo. Un dispensario perché se ci si ammala, la soluzione più rapida è quella di essere caricati su una moto, e cercando di rimanere seduti sulla sella percorrere una strada piena di buche per giungere dopo circa 5 km al paese attrezzato più vicino. Un pozzo perché senza di esso l’acqua per il dispensario medico e per l’intero villaggio dovrebbe continuare ad essere trasportata sulla testa da qualche donna, dal rigagnolo d’acqua distante circa 500 m dal “centro” di Dafo, raggiungibile a piedi attraverso un tortuoso percorso.
Che dire ora?
“If you troubleee”. Letteralmente questa frase non ha una traduzione, la ripeteva continuamente quel pazzo di Leon, ruotando entrambe le braccia in senso orario come se stesse maneggiando un grosso mestolo. Io l’ho interpretata un po’ come… se si mescola, se ci si muove assieme, qualcosa di buono e utile salta fuori, anche pétit à pétit…"


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