Volevo raccontarvi una storia, ma non
preoccupatevi, è una di quelle che finiscono con il lieto fine visto che tutti,
in fondo, abbiamo bisogno di sorridere e di ricevere un po’ di ottimismo. E’
una di quelle storie ambientate in un luogo esotico e così diverso da questa
verde Valle, a venti giorni di viaggio via terra da qui, e in quel continente,
l’Africa, così lontano ma al tempo stesso vicino, terra carica di stereotipi,
di incomprensioni e di pregiudizi da parte di noi occidentali, ma dove ci si
può ancora emozionare per qualcosa che nasce dal cuore. Vi invito quindi a indossare
nuovi occhi, a lasciare spazio all’immaginazione e a sognare per qualche
minuto. Immaginatevi spettatori a teatro dove tutto il palcoscenico è occupato
dal villaggio di Dafo, una bandiera togolese sventola su un’asta fatta con una
canna di bambù, la terra è rossa sotto i vostri piedi e il cielo è appena sopra
ad un panorama di verdi piante tropicali dove spuntano, qua e là, frutti di
mango ed avocado. Donne, uomini e bambini divisi in gruppi, chi a cucinare, chi
a chiacchierare, chi a giocare, gruppi che si uniscono tra di loro confondendo
così ai vostri occhi i colori accesissimi dei loro vestiti tradizionali. Suoni
di risate si alternano a parole incomprensibili in lingua locale, un villaggio
africano che, con l’associazione AFRICASA, si è imparato a conoscere e dove sono
stati stretti legami di sincera amicizia anche grazie a quell’incontro, nel
Gennaio 2010 quando è iniziata questa storia, che ha come protagonista un bene indiscusso:
l’acqua.
Dopo aver effettuato il viaggio via
terra dall'Italia al Togo per trasportare un pulmino e il materiale donatoci
dalla IRCI per costruire la rete idrica, era arrivato il momento, per i
volontari dell’associazione AFRICASA, di completare l’opera iniziata con il
sopralluogo al villaggio l’anno precedente, a cui ha fatto seguito un progetto
tecnico e tutta la fase preventiva per far sì che possa un giorno nascere un
acquedotto a Dafo e permettere a tutti, soprattutto donne e bambini, di evitare
lunghe camminate e faticosi trasporti d’acqua dalla sorgente al villaggio.
Continuate a usare l’immaginazione e
provate a mettermi nei panni di uno dei volontari dell’associazione per vivere appieno
quest’emozione in Togo. Tutte le mattine, verso le cinque e mezzo, al villaggio
si veniva svegliati dalle urla di una venditrice che passava proprio sotto alla
finestra della casa che ospitava i volontari, a cui faceva seguito il rito di
recarsi al bidone dell’acqua per lavarsi, più o meno due litri erano
sufficienti per una doccia completa, denti compresi. Se ormai siete entrati
nella parte avrete capito che, se per procurarsi dell’acqua dovete camminare un
chilometro e mezzo in un sentiero ripido e sconnesso, e con una tanica di 30
chili sulla testa, allora si sta molto attenti agli sprechi. Dopo colazione
passava il secondo “strillone”, questa volta munito di campanaccio per adunare
la gente poiché, per ordine del capo villaggio, tutti dovevano partecipare ai
lavori dell’acquedotto.
Ma all’appello, dipendeva dal giorno, potevano essere
in tre oppure in cento visto che a volte c’erano lavori urgenti nei campi o
nelle piantagioni, oppure era giorno di mercato, ma il motivo di maggior
astensionismo era la partecipazione in massa al funerale di un parente in qualche
villaggio vicino poiché, da una parte sono tutti imparentati tra di loro come
una grande famiglia, dall’altra la precarietà e le fatalità sono all’ordine del
giorno. Capirete da soli che era difficile fare programmi precisi, i lavori da
fare erano tanti e poche settimane per terminarli, ma per fortuna i lavori di
scavo alla sorgente dell’acqua, nel punto più basso del villaggio per
l’alloggio della vasca di raccolta, erano stati portati avanti grazie alla
supervisione di Daniele Smoglica, giovane ingegnere torinese e volontario
AFRICASA che ha anticipato l’arrivo della “carovana” partita dalla Valmarecchia
e che, per tutto il mese d’Agosto, ha deciso che la sua prima volta in Africa
sarebbe stato attraverso quest’esperienza di volontariato. Restavano da costruire la struttura di
supporto ai pannelli fotovoltaici, posare le tubazioni idrauliche ed
elettriche, ed infine, costruire la vasca da dodici metri cubi che avrebbe
permesso, grazie alla pompa ad immersione della IRCI, di spingere l’acqua nelle
condutture interrate, risalendo la collina fino a un comodo rubinetto nel
villaggio, quasi ottocento metri più lontano.

Nel frattempo cresceva in maniera
esponenziale l’aspettativa e l’entusiasmo della gente per l’idea di avere un
rubinetto nel centro del villaggio, soprattutto le donne e i bambini,
consapevoli che ciò avrebbe comportato una fatica in meno per loro, chi
ringraziava per la possibilità, chi si metteva a disposizione per dare una
mano, tutti incitando continuamente al motto di bon courage. A dirla tutta c’era quella
preoccupazione tipicamente occidentale che per qualche motivo qualcosa andasse
storto, magari per un materiale difettoso o addirittura un errore di calcolo in
fase di progetto fino a giungere al momento della verità, il giorno in cui si
“attacca la spina” per testare se l’impianto funziona, completati quindi gli
allacciamenti alla pompa non restava che incrociare le dita. Nel frattempo,
mentre alla sorgente venivano completate le operazioni per l’attivazione della
pompa manualmente, un bambino andava a controllare se l’acqua arrivasse per la
prima volta al villaggio, potete immaginarlo correre su quel sentiero tortuoso
tra l’erba alta due metri, felice sia per quella sensazione di festa che si
respirava e sia per l’importante impegno che doveva rivestire in quel momento.
Minuti di attesa che sembravano ore, i pensieri e le preoccupazioni che si
accavallano sono spazzate via da un boato, degno della vittoria dei mondiali
del 2006, che copre la distanza di quasi un chilometro dalla sorgente al villaggio:
l’acqua è arrivata, ce l’avevamo fatta.
Al ritorno al villaggio, risalendo il
sentiero e seguendo la conduttura interrata che trasportava l’acqua, le donne
già si accalcavano con i bidoni e le taniche alla fontana, altre cantano canti
tradizionali, danze colorite e coinvolgenti fanno da contorno a sorrisi di
gioia e nell’aria esplode la festa al suono di percussioni che coinvolge tutti,
bambini, adulti e volontari dell’associazione AFRICASA. Ognuno del villaggio ha
partecipato alla costruzione, e, come comunità, si sentono ancora più uniti, e
il legame con i volontari, anche dopo quest’esperienza, si è ancora
maggiormente rafforzato, motivo in più per festeggiare fino a tarda notte.
In quei giorni di festa purtroppo non
erano presenti molte persone che hanno reso possibile tutto ciò, ma in quel
acquedotto c’è una parte di ognuno di loro. Grande merito va dato alla IRCI e
alla famiglia Pula, in primo luogo a Mauro che ha creduto nell’associazione
AFRICASA e nei suoi progetti, persone come anche la “togolese” Stefania
Sanfilippo che hanno finanziato economicamente e materialmente la costruzione,
ma questa gioia va giustamente condivisa
con chi ha lavorato per raggiungere questo splendido risultato, tutta la
comunità del villaggio di Dafo e tutti i volontari AFRICASA che hanno curato la
fase preliminare dello scavo e che si sono occupati anche dell’allestimento
della biblioteca pubblica del villaggio, ringraziando chi ha partecipato al
viaggio per trasportare il materiale in Togo, senza dimenticare tutti agli
amici che hanno ospitato questa strana “carovana nomade” lungo la strada che
separa questa Valle dal villaggio di Dafo in Togo.
“Si chiama Mal d’Africa ed è l’unica malattia dalla quale non voglio guarire”
Toni Bocale - Associazione AFRICASA
ONLUS
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